Cinema

Split, Recensione del film di M. Night Shyamalan

Con Split, nelle sale dal 27 gennaio, per un’ora e cinquantasette minuti si viene letteralmente catapultati nella mente labirintica del protagonista dell’ultimo film di M. Night Shyamalan. Interpretato da James McAvoy, Kevin Wendell Crumb soffre di un disturbo dissociativo a causa del quale possiede ben 23 personalità.

Un thriller psicologico in cui la comunicazione verbale e non verbale di McAvoy tiene incollati allo schermo in preda a un unico e impellente desiderio: conoscere la ventiquattresima identità. Un climax di follia che a partire dai primi fotogrammi tinge sempre più di horror la storia, il cui ancoraggio figurativo risiede nella scelta di costruire ambientazioni che riflettono le sfumature di una mente sfaccettata, tra l’ambiguo e l’inquietante. Il gioco valoriale interno alla mente di Kevin vede contrapposta la purezza, di chi nella vita ha sofferto, all’impurità, di chi non ha mai ricevuto abusi. Nel micro universo del delirio, in cui gli stessi spettatori dovranno iniziare a orientarsi, i comportamenti, le scelte, le riflessioni e le azioni oscillano costantemente tra i due grandi poli della violenza. Quella subìta, il trauma dell’infanzia e quella agita, la storia raccontata dal regista. L’una come conseguenza dell’altra, il che appare quasi inevitabile se si considera che nella vita di Kevin l’affettività, stando a quanto il film ci narra, è l’unica grande assente.

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