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Deborah Brizzi, intervista all’autrice de ”La stanza chiusa”

Nata nel 1973 Deborah è entrata in polizia nel 1999 e per molti anni ha fatto servizio operativo presso la squadra delle volanti della Questura di Milano. Ha così potuto conoscere molto bene la Milano notturna dove tutto può accadere. Da questa sua esperienza di investigatrice di fatti di cronaca nera ha tratto ispirazione per il suo lavoro di scrittrice di noir.

Ha esordito nel 2014 con il romanzo “ancora notte” per Rizzoli editore, un thriller avvincente dove esordisce la sua protagonista Norma Gigli che continua il suo lavoro di investigatrice anche nel secondo romanzo uscito il 6 marzo scorso dal titolo “la stanza chiusa” edito da Mondadori Electa. La protagonista è la superpoliziotta investigatrice Norma Gigli che si trova coinvolta in una indagine complessa che parte da un condominio milanese.

La stanza chiusa

L’intervista

Deborah Brizzi, poliziotta sulle volanti di Milano ed ora scrittrice di noir di successo. Come mai hai sentito l’esigenza di portare su carta la tua esperienza lavorativa?

Ma no, non è la mia esperienza lavorativa a essere stata trasposta, piuttosto quella mi è servita per rendere più credibile ciò che scrivevo. Ma sia nel primo romanzo che nel secondo, il taglio noir è stato funzionale a trasmettere una serie di riflessioni, a condividerle con il pubblico. Quello che mi interessa realmente è lo spessore dei personaggi, le pieghe, le ansie, i mostri. È la gente che descrivo a interessarmi, molto più di quanto mi interessi la cornice dentro cui la colloco.

Milano è la protagonista dei tuoi due romanzi. Una città cosmopolita che nasconde una natura violenta sotto una veste di normalità. Descrivimi la tua Milano, cosa è per te e cosa rappresenta per il tessuto narrativo dei tuoi romanzi?

Milano è casa. È rifugio. È famiglia. Sono nata nell’hinterland milanese e vivo a Milano da quando avevo 22 anni, posso dire di aver trascorso più tempo qui che dove sono nata e cresciuta, che comunque era una propaggine della città. Milano l’ho vissuta in mille modi diversi, da turista, da cittadina, da poliziotta. Ogni volta ho trovato qualcosa di sorprendente e non ha ancora finito di ispirarmi e di darmi luoghi e scorci dove ambientare le storie che invento.

“La stanza chiusa” è il tuo nuovo romanzo noir. Ritorna quindi la protagonista, Norma Gigli, la poliziotta che ha abbandonato le volanti ed è costretta a stare dietro la scrivania dell’ufficio scomparsi. Nonostante ciò il suo fiuto da investigatrice la porta su una indagine molto intricata. Uno strano condominio governato da una super matressa, Edda Vargas e dalle sue ragazze. Dopo una banale denuncia parte l’indagine di Norma Gigli che entra in contatto con tutta una serie di donne e uomini e si trova di fronte una “stanza chiusa”. Una storia di vendetta. Cosa c’è dietro questa “stanza chiusa”?

La stanza chiusa è un posto ermetico, è simbolico, è quella parte nascosta che ognuno di noi ha. Dove si raccolgono speranze, dolori, e perché no, anche torti subiti e non vendicati. Parte tutto da qui. Dalla mia personalissima “stanza chiusa”, che cammin facendo è diventata un posto condiviso con altre persone che mi hanno fatto entrare nella loro.

Posso definire “la stanza chiusa” un noir al femminile, il genere noir è sempre stato in un certo senso “maschilista” dove la donna è sempre una dark lady e l’investigatore è sempre uomo. Ora con il tuo romanzo ci sono le donne protagoniste di un noir. Questa è una novità sostanziale. Come viene percepita dal mondo dei lettori la super poliziotta Norma Gigli?

Oddio, il noir è un genere in movimento, si rinnova, talvolta si ripete, talvolta evolve. Come in tutti i generi ci sono i puristi che non accettano cambiamenti e poi ci sono gli avanguardisti, che si divertono nel movimento. Così è per i lettori. Quello che ho notato nella maggior parte dei casi, per fortuna, è un piacevole disorientamento.

Ne “la stanza chiusa” la figura femminile nel noir viene definitivamente sdoganata a protagonista della propria vita, delle proprie scelte, dei propri errori, dei propri gesti, della propria vendetta. Qual è stata la tua urgenza nel raccontare una storia di dolore femminile contro le discriminazioni e le violenze subite?

Hai centrato il punto. L’urgenza è proprio il raccontare. Scrivere per me è esattamente questo: essere protagonista della mia vita, prendere parola, fare delle scelte e risponderne. Scrivere, penso soprattutto per le donne che quasi mai danno per scontato il loro posto pubblico, significa legittimarsi uno spazio, dire “ci sono anche io”, “ci siamo anche noi”.

Quello che mi ha colpito è la determinazione della Gigli e di tutte le altre donne a non permettere al mondo maschile di definirle. Credi che siamo a buon punto in tal senso anche nella vita reale?

No. Penso che ci sia una resistenza atavica all’autodeterminazione femminile. Basti pensare a quante critiche ha subito la presidente della camera, Laura Boldrini, quando è scesa in campo perché nella lingua fossero riconosciute e usate le cariche pubbliche e i nomi di mestiere declinati al femminile, come peraltro la grammatica prevede. Tutti a dire che ci sono cose più importanti, senza rendersi conto che la resistenza stessa a questo cambiamento ne definisce l’importanza sociale. Le maestre sono maggioranza rispetto ai maestri, ma nessuno si sognerebbe di chiamare “maestra” un “maestro”, non capisco quale sia il problema a chiamare deputata, magistrata, direttrice, avvocata, una donna che fa quel mestiere, lo prevede l’italiano, e se non è mai diventata abitudine c’è da chiedersi perché. Forse che usare la lingua correttamente significa legittimare la presenza femminile all’interno di ruoli storicamente maschili? Sono davvero derisori quei sorrisetti accennati quando si affronta questo argomento o mascherano paura e senso di inadeguatezza?

Sei una scrittrice di noir che non ha paura di osare, per esempio le differenze di genere che tu sottolinei con puntigliosità e di descrivere una certa tipologia maschile che vede la donna solo come oggetto e non soggetto. Questo tuo modo di scrivere credi possa aiutare a far cadere i limiti mentali?

Ma, questo mi sembra troppo, sarebbe come fondare le proprie speranze di ricchezza sulla vincita al superenalotto. Quello che auspico è che parlare in un certo modo, evitare di usare stereotipi per descrivere il maschile e il femminile rendendoli concetti monolitici, possa aiutare a capire che di maschile e di femminile non ce n’è uno solo, come spesso sembra vogliano farci credere. Si può essere maschi e femmine in mille gradazioni diverse, con mille sfumature, senza per questo sentirsi meno maschi o femmine. Senza sentirsi inadeguati.

Pensi che Norma Gigli sarà ancora protagonista dei tuoi prossimi romanzi e come la vedi protagonista di una fiction finalmente al femminile?

Sicuramente sarà la protagonista del mio terzo romanzo, che ho già iniziato. Poi si vedrà. Posso anticiparti che ho avuto un primo contatto per trasformare “Ancora Notte” in un film… Staremo a vedere!

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