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Crisi Venezuela 2018: le cause e cosa sta succedendo?

Che ci piaccia o no, la fiamma della discordia, nata negli anni ’40 del secolo scorso, tra i paesi sostenitori della democrazia-capitalista e quelli contrari non si è mai totalmente spenta. Il caso Venezuela è emblematico, sebbene sia troppo rischioso classificarlo come un paese totalitario e comunista. Nicolàs Maduro, in carica dal 2013, si ritiene infatti Presidente di un paese socialdemocratico, anche se dominato da continue proteste e sommosse, spesso messe a tacere  con la violenza, e da episodi di corruzione e di distribuzione di ricchezze tra alti burocrati e gerarchie militari.

Quello che era uno dei paesi più ricchi dell’America Latina perchè contraddistinto dalla presenza di enormi giacimenti di petrolio, oggi è schiacciato tra l’iperinflazione, la mancanza di beni primari come cibo e medicine, la repressione di ogni forma di opposizione e la fuga di centinaia e centinaia di venezuelani nei paesi confinanti.

Seppur diverse, le stime del Fondo Monetario Internazionale e della rivista Forbes sull’iperinflazione fanno paura: secondo il primo potrebbe toccare il milione per cento entro la fine dell’anno, mentre secondo Forbes il picco stimato sarebbe del 33mila per cento. Inoltre il Pil recede e anche quest’anno potrebbe posizionarsi al -15%, le importazioni calano, la produzione interna ristagna, aumentano i numeri delle esecuzioni extra-giudiziali (almeno 47 nel 2017) e delle detenzioni arbitrarie che sarebbero decine di migliaia e la percentuale delle famiglie al di sotto della soglia di povertà ad oggi supera l’80%.

I problemi economici del Venezuela, che oggi vengono accollati interamente a Maduro, si devono però collegare alle decisioni politiche ed economiche prese dal Governo precedente, quello di Hugo Chàvez. Il periodo di governo dell’ex Presidente viene ricordato giubilante e opulento, grazie al boom petrolifero, con il prezzo del petrolio molto alto, bassi tassi d’interesse e grande richiesta di materie prime. Il Governo approfittò dei proventi del petrolio per investire in spesa pubblica, istruzione, comunità rurali, infrastrutture, sanità, in aiuti agli agricoltori in difficoltà e in sussidi di massa. Secondo il New York Times il declino dell’economia venezuelana è iniziato già nel 2012 e le cause derivano dagli atteggiamenti politico-economici del Governo precedente, dalla forte quanto azzardata dipendenza dal petrolio, dalla svalutazione della moneta e dalla tendenza ad ignorare la variabile “tempo”, quindi allo spendere troppo e in tempi stretti senza essere accorti.

Nel 2014 il prezzo del petrolio crolla brutalmente, anche se già nel 2008 c’erano state le prime avvisaglie, e di conseguenza crollano anche i ricavi petroliferi nelle casse dello Stato. Nessun paese vuole concedere ulteriori prestiti e il Governo venezuelano intanto decide di aumentare il suo controllo su mercato e produzioni, sui prezzi di ogni prodotto di comune uso e consumo e sul tasso di cambio. Il Governo decide anche di stampare nuova moneta svalutando così il Bolivar forte. E mentre gli investitori stranieri fuggono e i paesi amici (come Argentina, Brasile, Cuba e Bolivia) prendono le distanze, il Venezuela si indebita in modo massiccio sui mercati internazionali.

Le posizioni prese dal Presidente Maduro hanno probabilmente peggiorato la situazione del paese. E’ stata infatti varata poco tempo fa la riforma del sistema finanziario ed economico che prevede l’introduzione di una nuova moneta, l’aumento dell’IVA dal 12% al 16% e l’aumento dei salari del 3.464%. La nuova moneta in questione è il Bolivar sovrano che ha sostituito il Bolivar forte. Il Bolivar sovrano ha 5 zeri in meno rispetto al Bolivar forte, ossia 500 Bolivar sovrani equivalgono a 50 milioni di Bolivar forti. Circa 60 Bolivar sovrani valgono 1 dollaro. La caratteristica principale di questa nuova moneta è che è agganciata alla criptovaluta, il Petro, introdotta nel febbraio di quest’anno e strettamente legata all’andamento dell’economia energetica, al petrolio.

Maduro sa però che, se da una parte deve difendere il proprio Governo dagli oppositori politici interni ed esterni, dai militari ribelli venezuelani che si diceva stessero organizzando con funzionari americani e colombiani un piano di destituzione del Presidente e da USA e UE che hanno adottato pesanti sanzioni contro il Venezuela, dall’altra parte deve curare certe amicizie politiche e rafforzare certi accordi strategici. Tra i benefattori ci sono la Russia e la Cina. Quest’ultima in particolare ha da sempre ricoperto un ruolo importante. Negli ultimi giorni infatti il Presidente Maduro si è recato in Cina per incontrare il Presidente cinese Xi Jinping, il Primo Ministro Li Keqiang  e il Presidente del Legislativo Li Zhanshu e per intensificare deglia accordi di cooperazione tra i due paesi in ambito commerciale, energetico, finanziario e tecnologico. Tra gli accordi in questione ci sarebbero quelli sull’esplorazione congiunta di gas in Venezuela, sull’estrazione dell’oro e sulla fornitura di prodotti farmaceutici. Dal 2008 la Cina ha prestato al Venezuela circa 70 miliardi di dollari in diverse rate e per lo più restituite in petrolio e anche questa volta non si è smentita. Bloomberg News in una notizia del 13 settembre scorso riporta la dichiarazione del Ministro delle Finanze venezuelano Simon Zerpa che ha confermato un prestito di 5 miliardi di dollari dalla Cina che verranno rimborsati dal Venezuela in denaro e petrolio. La Cina in questo modo non fornisce solo fondi per infrastrutture e progetti energetici ma si assicura anche una presenza forte in America latina, sempre più vicina al gigante USA.

Ora si aspetta la risposta del Venezuela alle ultime intimidazioni dell’OSA, l’Organizzazione degli Stati Americani, che nelle ultime ore, tramite il Segretario Generale Luis Almagro, ha dichiarato l’impossibilità di escludere un intervento militare contro il Governo Maduro, responsabile di una grave crisi economica, umanitaria e migratoria e colpevole di aver violato i diritti umani.

 

 

 

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