Politica

M5S, la lite tra Di Maio e Fico conviene a Grillo

Il M5S è già tornato dalle vacanze sotto gli occhi stupiti degli altri partiti sornioni. Il movimento di Beppe Grillo, infatti, brama già la maggioranza di governo ed ogni occasione è buona per dimostrarlo. Un esempio su tutti il tour estivo siciliano in cui non sono mancati messaggi, espliciti o meno, che esulano dalla stretta politica regionale.

L’exploit vero e proprio però c’è stato in questi giorni sui fatti di Piazza Indipendenza. L’evento, che poteva essere trattato come un qualsiasi sgombro, è diventato l’occasione per stabilire i rapporti di forza all’interno del Movimento. Merita attenzione lo scontro tra Di Maio e Fico, pezzi da Novanta pentastellati.

Il primo, come una reminiscenza di un Macron d’oltralpe, si comporta già da premier. Dichiarazioni forti, coincise, e soprattutto – requisito fondamentale per l’elezione – “non buoniste”. Il secondo, invece, recita parimenti da leader di un’altra corrente pentastellata, quella oppositiva. Una corrente, che sempre per luogo comune, deve essere calma, rilassata, riflessiva e, perché no, ambigua. Per usare parole da social network, come fatto per Di Maio, la corrente “sinistroide” del M5S.

Beppe Grillo ha trovato la chiave del successo?

A cinque anni dalle scorse elezioni nazionali e da quel “miracoloso” 25% di consensi al neo-partito di Grillo son cambiate molte cose. Se allora la strategia era quella dell’unità contro una politica disgregata, oggi si sono invertiti i termini. La base elettorale del Movimento continua ad allargarsi sempre di più. Elettori che, in assenza di ideologie riconosciute, possono rispecchiarsi o meno in certi punti del programma elettorale. Ecco che entrano in gioco le correnti, strategia già cara alla DC degli anni d’oro. Non è un caso che l’assurdità di dichiarazioni contrastanti all’interno del Movimento sia premiata dai sondaggi. Dimostrazione palese che l’elettore di sinistra si riconosce nella corrente di sinistra e l’elettore di destra nella corrente di destra.

Lo stesso Di Maio pochi mesi fa affermò su Rai 1 che “nel movimento ci sono i valori di Almirante, Berlinguer e DC”. Frase che per quanto possa sembrare antistorica paragonata ad un passato recente, è tremendamente attuale ai giorni nostri. In assenza, come prima ribadito, di ideologie a cui associarsi, possono vincere solamente i partiti cosiddetti pigliatutto.

È ciò che, in parte, ha capito anche la dirigenza PD. Gli ultimi mesi di governo del partito di maggioranza sono passati in decisioni contraddittorie, come a voler tenere il piede in due scarpe, anzi tre. Renzi, Emiliano e Orlando. Il risultato non poteva che essere fallimentare: a differenza del M5S, il PD non è stato capace di “liberarsi” della pesantissima eredità del Partito Comunista e neanche dei suoi nostalgici elettori. I quali hanno capito la fregatura.

 

Il sistema politico italiano, in una fase di totale confusione, sembra privilegiare i partiti nuovi, quelli che dichiarandosi senza ideologia le incarnano tutte. In conclusione, ben venga lo scontro frontale tra Di Maio e Fico finché dura. Tanto al prossimo calcolo elettorale potrebbe essere già messo in soffitta.

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Matteo Squillante

Napoletano di nascita, attualmente vivo a Roma. Giornalista pubblicista, mi definisco idealista e sognatore studente di Storia e Culture Globali presso l'Università di Roma Tor Vergata. Osservatore silenzioso e spesso pedante della società attuale. Scrivo di ciò che mi interessa: principalmente politica, cinema e temi sociali.
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