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Perché è sparita l’agenda rossa di Paolo Borsellino?

L'agenda rossa di Paolo Borsellino è scomparsa il 19 luglio 1992, il giorno della strage di Via D'Amelio

Mille dubbi trapelano sull’agenda rossa, un’agenda dell’Arma dei Carabinieri con la copertina rossa e rigida affidata al giudice Paolo Borsellino mesi prima della sua morte, avvenuta il 19 luglio 1992. Un’agenda contenente una serie di appunti importanti e misteriosamente svanita dopo la strage di Via d’Amelio. Più volte il fratello del magistrato, Salvatore, ha ripetuto che “c’era qualcuno che aspettava per fare sparire l’agenda rossa e per impadronirsene”. Per Salvatore Borsellino, infatti, “quell’agenda è stata sottratta perché doveva servire per gestire i ricatti incrociati con i nomi”. E ha sempre sottolineato “una scellerata congiura del silenzio che è durata per 20 anni”. Ma partiamo dall’inizio.

L’importanza dell’agenda rossa

Secondo i collaboratori più stretti di Borsellino, quell’agenda rossa conteneva dettagli importantissimi che avrebbero stravolto in modo incontrovertibile il mondo politico e non solo. Ebbene, un’ora e mezza dopo la strage di Via Mariano d’Amelio, e precisamente alle 18.30 del 19 luglio 1992, la valigetta del giudice giunge nell’ufficio di Arnaldo La Barbera, all’epoca dirigente della squadra mobile di Palermo. C’è un ma: ovvero, l’agenda rossa è svanita nel nulla. Secondo i magistrati che si occupano del caso, infatti, essa contiene “una serie di appunti di fondamentale rilevanza per la ricostruzione dell’attività svolta da Borsellino nell’ultimo periodo della sua vita, dedicato ad una serie di indagini di estrema delicatezza e alla ricerca della verità sulla strage di Capaci”.

Paolo Borsellino soleva scrivere i suoi appunti, diventata una pratica frequente dopo la strage di Capaci. Un giorno Carmelo Canale, tenente e collaboratore fidato del magistrato, gli disse: “Ma che fa, vuole diventare pentito pure lei?”. E lui rispose seriamente: “Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch’io ho le mie cose da scrivere”. Quelle “cose serie” si riferivano alle rivelazioni di alcuni pentiti di mafia di spicco che Borsellino, da procuratore aggiunto di Palermo, stava raccogliendo in quel periodo. Ad esempio Gaspare Mutolo, ex autista dell’allora latitante Totò Riina, gli svelò le “talpe” di Cosa Nostra nelle istituzioni come l’ex numero 3 del Sisde, Bruno Contrada, oppure il magistrato Domenico Signorino. E, in più, gli era giunta voce di un dialogo tra profili importanti dello Stato e i mafiosi, ovverosia la “trattativa” tra Stato e Mafia di cui si sta occupando tuttora il processo in corso a Palermo a carico di alti funzionari dei carabinieri, mafiosi, politici.

Fatto sta, testimoniano la moglie Agnese Piraino e il figlio Manfredi, che Paolo aveva messo la sua agenda in borsa. Ma nella sua 24 ore sono stati trovati gli effetti personali del giudice come il costume da bagno, un paio di occhiali da sole e altri oggetti. Niente agenda rossa, quindi!

La scomparsa dell’agenda ha indotto di conseguenza i familiari di Borsellino a denunciare il fatto mediante il giudice Antonino Caponnetto, fino al 1990 a capo del Pool antimafia. Fu lui a volere accanto a sé Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il primo verbale di apertura della borsa fu redatto dalla Procura di Caltanissetta il 5 novembre 1992, cioè tre mesi e mezzo dopo la strage.

Sono sempre i giudici di primo grado a spiegare che “già nell’immediatezza della strage, attorno all’automobile blindata del Magistrato ucciso, vi erano una pluralità di persone in cerca della sua borsa e di quello che la stessa conteneva, ivi compresi alcuni appartenenti ai Servizi Segreti”. Chi notava la presenza “oggettivamente anomala, se non altro per i tempi” di quegli esponenti dei Servizi “non riteneva di riferire alcunché ai propri superiori gerarchici od ai Pubblici Ministeri”.

In parole povere, alla famiglia del magistrato “non veniva mai notificato alcun verbale di sequestro della borsa del loro congiunto ed alla vedova veniva mentito, considerato che il dottor Arnaldo La Barbera le diceva che detta borsa era andata distrutta nella deflagrazione, sebbene risulti che il reperto giungeva nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo già nel pomeriggio del 19 luglio 1992”. E oltremodo, chi trasportava la 24 Ore di Borsellino nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo “non riteneva di dover fare alcuna relazione di servizio (almeno fino a cinque mesi dopo), né di dover far rilevare che vi erano degli appartenenti ai Servizi Segreti sullo scenario della strage?”.

Alcuni mesi dopo l’attentato di Via d’Amelio fu Arnaldo La Barbera a recarsi presso l’abitazione della signora Agnese Piraino, per la restituzione della borsa del marito. Una restituzione che “avveniva in maniera irrituale e frettolosa”, ribadiscono i giudici. Proprio in quel momento, di fronte alle richieste della figlia Lucia Borsellino di riavere indietro anche l’agenda rossa del padre il Dirigente della Squadra Mobile di Palermo “con un atteggiamento infastidito e sbrigativo, affermava, in maniera categorica, che non esisteva alcuna agenda rossa da restituire”.

“Un atteggiamento, questo, che rivelava non solo una impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche una aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino, nel suo forte e costante impegno di ricerca della verità sulla morte del padre”, scrivono ancora una volta i giudici.

Tuonano di giustizia le parole di Agnese Piraino, oggi deceduta. “Chissà, forse un uomo delle istituzioni ha in mano l’agenda rossa di Paolo: sono sicura che esiste ancora. Non è andata dispersa nell’inferno di via d’Amelio, ma era nella borsa di mio marito, borsa che è stata recuperata integra, con diverse altre cose dentro. Sono sicura che qualcuno la conserva ancora l’agenda rossa, per acquisire potere e soldi. Quell’uomo che ha trafugato l’agenda rossa sappia che io non gli darò tregua. Nessun italiano deve dargli tregua”, ha ribadito più di una volta la moglie di Borsellino.

 

 

 

 

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Veronica Mandalà

Palermitana di nascita, sono laureata in Media, Comunicazione Digitale e Giornalismo all'Università "La Sapienza" di Roma. Appassionata scrutatrice della realtà in tutte le sue sfumature, mi occupo di attualità, politica, sport e altro.
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