Attualità

Napoli le babygang comandano la città campana?

Mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost’ ”. Alzi la mano chi non ha mai visto o sentito questa frase. È la celeberrima frase, assieme a “sta senza pensier”, che viene ripetuta tantissime volta da Gennaro Savastano e Ciro Di Marzio nella famosissima serie TV Gomorra. Dalla prima stagione fino alla terza siamo, sì perché anch’io ammetto di esserne rimasto affascinato dalla serie tv, stati catapultati nelle vite dei personaggi che caratterizzano la famiglia mafiosa dei Savastano tra Scampia e Secondigliano. Abbiamo assistito a brutali omicidi, corruzioni, traffici di stupefacenti, vendette e ripercussioni. La fortunata serie di Roberto Saviano ci ha proiettato sicuramente dentro una Napoli camorrista, facendoci scoprire i meccanismi e le dinamiche che si nascondono dietro un potente clan.

Ma cosa succede se l’effetto di denuncia alla criminalità organizzata viene meno e i personaggi, a partire da Genny e Ciro, diventano degli eroi per i più giovani e ragazzini? La conseguenza naturale è lo svilupparsi di piccole bande di minorenni che iniziano la loro ascesa alla criminalità. Gli ultimi eventi di Napoli ne sono una prova e purtroppo a rimetterci sono i loro coetanei. La coltellata alla gola subita da Arturo, recentemente tornato a scuola, ricorda, almeno a me, la morte del boss rivale Salvatore Conte, accoltellato proprio alla gola nella seconda stagione. Sicuramente, anzi è doveroso dirlo, non è colpa della serie tv Gomorra, quanto piuttosto la non capacità per questi ragazzini di scindere il reale dalla finzione televisiva.

Un fallimento dei genitori

Per molti di questi ragazzi non sembrava nemmeno vero di vedere il loro dialetto, i loro quartieri, la loro vita in televisione e guardata da milioni di telespettatori. Dunque va analizzato un primo aspetto allarmante di questa triste vicenda. Tutte, o quasi, le babygang sono composte da ragazzi che vanno dai soli otto anni fino ai quattordici, quindici anni. Si professano dei bravi ragazzi, ma se qualcuno entra nel loro quartiere loro sono tenuti a difendersi. La mia domanda, di conseguenza, è questa: da dove nasce tutta questa rabbia e violenza? In molti video si vedono atteggiarsi al linguaggio della nota serie tv, “scimmiottare” le movenze dei boss, passarsi pistole (giocattolo per fortuna) e coltelli (questi veri purtroppo) a serramanico. Sarebbe troppo facile e conveniente puntare ora il dito sulla televisione, che per carità ha il suo effetto e la sua parte di responsabilità, ma il vero problema sta in uno strato sociale abbandonato e degradato.

Se dovessimo fare un’analisi dello strato sociale nella capitale del Mezzogiorno, avremmo uno scenario ben delineato e abbastanza chiaro: esistono due Napoli e una sembra aver dimenticato l’altra. La prima Napoli è quella fatta di imprenditori, di locali alla moda, di un “lungomare liberato”, di quartieri (gli stessi in cui sono avvenute le aggressioni) che guardano con disprezzo l’altra Napoli. La seconda è per l’appunto quella reietta, abbandonata, spesso e volentieri dimenticata, perché è più facile voler cancellare qualcosa che non piace, piuttosto che provare a reintegrarla. Ma questo recupero è pressoché impossibile oggi, lacerato com’è, e di conseguenza questi ragazzini rispondono a questo malessere derubando e malmenando i coetanei.

La loro sfrontatezza, irriverenza, stupidità li porta addirittura a sfidare i militari, a sputare su quell’uniforme che per noi rappresenta lo Stato, ma che loro non conoscono minimamente, quanto invece sull’ “altro” in senso stretto. Il mondo che questi ragazzi si sono costruiti non ha nulla di uguale o lontanamente simile al nostro. Sì avranno gli smartphone di ultima generazioni, la tv, gli scooter, l’atteggiamento da duri, ma il senso di rispetto dell’altro è totalmente diverso. Qui risiede il fallimento dei genitori, i quali hanno letteralmente abbandonato questi figli per una vita di strada, e, cosa drammatica, non se ne vogliono curare. “Sono solo ragazzi, lasciateli stare” è il grido di quelle famiglie disagiate i cui figli hanno compiuto questi atti. È vero ciò che dicono, ma sono anche giovani non educati a stare nella moderna società e questo è un dato con cui queste famiglie prima o poi dovranno fare i conti e prenderne coscienza.

Il fallimento della scuola e di una società

Il secondo dato che emerge è ancora più inquietante: la maggior parte di questi ragazzi non va a scuola e non ha concluso il ciclo di anni delle superiori, interrompendoli. Per molti la scuola è vista come una seccatura, un qualche forma di prigione sociale, piuttosto che l’opportunità di confrontarsi con il mondo reale. Magari raccontano ai genitori di andare a scuola e poi a quel cancello manco ci arrivano, preferendo le scorribande per le vie del centro napoletano o nei loro quartieri. In quest’ottica la mia ennesima domanda è: com’è possibile che tutti questi ragazzi non abbiano trovato nessuno stimolo e nessuna passione nell’apprendimento? L’unica risposta che mi sono dato, riflettendo e pensando a lungo, consiste nell’attuale rigidità del sistema scuola. È vero che la scuola ti insegna a pensare, riflettere, elaborare, ragionare, ma spesso lo fa secondo un canone rigido e prestabilito, lasciando ai giovani studenti poco spazio per la discussione e il confronto. Un fallimento condiviso tra scuola e società, sia perché si è scelto di non ascoltare questi ragazzi, sia perché la via del crimine è più sbrigativa rispetto al costante impegno che la scuola richiede.

La risposta del Ministro degli Interni, Minniti, e in parte della società a questa violenta ondata è quella di mandare ulteriori cento unità prese dai reparti speciali al fine di garantire legalità e sicurezza. Una risposta dura, per certi aspetti giusta e condivisibile, ma che alimenterà e scaverà ancora di più questo solco tra le due Napoli. Il vero punto di partenza dovrebbe essere invece l’ascoltare in modo comprensivo questi giovani, cercare di comprendere e risolvere questo loro disagio al fine di riportarli all’interno di uno Stato di legalità e rispetto civile. In caso contrario non avremo fatto altro che consegnare nuova manovalanza alla criminalità organizzata, che già adesso studia per diventare la futura generazione di boss della malavita.

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