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Rossella Postorino, ”Le Assaggiatrici”: Intervista all’autrice

Le assaggiatrici” erano le donne costrette a mangiare. Il nuovo libro di Rosella Postorino ci mostra un’altra faccia di quella che è stata una delle vicende umane più disumane della storia. I motivi per cui sia un libro già tanto acclamato sono molteplici. Dietro a una storia così originale, e come l’autrice stessa l’ha definita “inedita”, c’è indubbiamente una grande scrittrice, ma anche una grande donna.

Rosella Postorino, nata a Reggio Calabria nel 1978, oggi vive a Roma ed è una di quelle scrittrici che è riuscita a ritagliarsi una rilevante fetta di notorietà nel panorama nazionale della letteratura italiana.

Intervista all’autrice

Rosa Sauer, la protagonista, è una delle assaggiatrici di Hitler. Siamo nel 1943, in un luogo chiuso e lontano dai bombardamenti, ma dove si diramano altrettante situazioni estreme e forse troppo taciute. La storia riporta l’esperienza di un gruppo di donne che per molto tempo furono costrette a mangiare. Per le “assaggiatrici “, nonostante si possa credere che fosse la fame ad avere la meglio,  “era la paura a far da padrona”, spiega l’autrice. Queste donne avevano il compito di assaggiare tutto il cibo che avrebbe dovuto mangiare successivamente il Führer, e dimostrare così che non fosse avvelenato. Il romanzo nasce dunque da un interrogativo: fino a dove è lecito spingersi per sopravvivere? Rosa Sauer nel romanzo dice che “la capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana”.

Com’è nata l’idea della storia?

Nel settembre 2014 mi è capitato di leggere il trafiletto di un giornale in cui si parlava dell’ultima assaggiatrice di Hitler ancora in vita. Non sapevo che Hitler avesse delle “assaggiatrici” e questa notizia mi aveva totalmente folgorata. La donna in questione, Margot Wölk raccontava la sua storia come il ricordo di un incubo, una situazione in cui mangiavano costrette a rischiare la propria vita, ma contemporaneamente riconoscevano di essere privilegiate nel momento in cui il resto della popolazione moriva di fame. Erano vittime e colpevoli allo stesso momento: questa ambivalenza del personaggio mi apparve non soltanto interessante, ma fu per me indispensabile indagare. La contraddizione ambivalente di colpe e innocenze è una questione che riguarda tutti gli esseri umani.

Qual è stata la maggiore difficoltà che hai riscontrato?

La prima difficoltà è stata senz’altro la mia paura. Raccontando un periodo storico molto lontano e che non avevo vissuto, temevo di non esserne capace. Tuttavia la storia parla di esseri umani, ed è quello che mi interessa raccontare. L’altra paura era invece di natura etica, mi sono chiesta: “ho il diritto di raccontare questa storia, attingendo all’esperienza reale di una persona?” Non sono tedesca e non ho mai vissuto in un regime dittatoriale, ma mi sono risposta di sì, perché nel momento in cui una storia ti ossessiona così tanto vuol dire che c’è qualcosa che entra in risonanza con te. Significa che c’è qualcosa, del mondo, che vuoi raccontare.

Tutt’oggi sentiamo ancora parlare di guerra, nonostante il 1943 sia ormai lontano. Credi sia importante, attraverso la letteratura, continuare a parlare di quel tragico periodo storico?

Reputo sia importantissimo. La memoria storica ci consente non soltanto di avere consapevolezza di ciò che è accaduto nel passato, ma ci consente anche di avere un filtro grazie al quale è possibile comprendere meglio la realtà che ci circonda. Non dobbiamo dimenticare quali sono gli errori di cui è capace l’umanità.

Aldilà dell’ambientazione storica, della riflessione morale, dell’inventiva romanzesca, la componente filosofia sembra fare da portante, rimarcando quella lotta mai risolta tra due linee di pensiero contrastanti: l’uomo nasce cattivo, o lo diventa? La chiave di lettura suggerita dall’autrice è chiara, inoltre allo stesso tempo innegabile. Essa stessa afferma che “c’è sempre qualcuno che tenta di togliere la libertà all’altro “. L’essenza dell’umanità filtrata attraverso questa metafora “carnale” appare dunque un continuo sacrificio di corpi per un’eterna rincorsa al potere, una guerra, insomma, che stenta ancora a cessare, nonostante il 1942 possa sembrarci oggi così lontano.

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