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Privacy in India, Corte Suprema: “Diritto fondamentale”

I nove giudici della Corte Suprema indiana hanno stabilito che la privacy è un diritto fondamentale, sulla base dell’articolo 21 della Costituzione, che protegge “la vita e la libertà”. La controversia era nata a causa del sistema di identificazione biometrico introdotto una decina di anni fa dal governo indiano: un meccanismo basato sulle impronte digitali e altri “marcatori” biologici, che potessero rendere univocamente riconoscibili i cittadini indiani ovunque si recassero: nei negozi, in banca e presso le amministrazioni.

Il sistema, denominato Aadhaar, è riuscito a catalogare circa un miliardo di indiani, principalmente con lo scopo di rendere più trasparenti le transazioni nel Paese, combattendo la corruzione dilagante. Nata su base volontaria, l’identificazione biometrica è stata presto resa obbligatoria per accedere a vari benefici sociali, per aprire conti correnti e persino per effettuare acquisti sopra le 50.000 rupie (circa 660 euro).

I ricorrenti hanno quindi sollevato la questione innanzi alla magistratura, preoccupati dalla possibilità per il governo di creare un profilo dettagliato delle abitudini e dei gusti personali dei propri cittadini, violandone appunto la privacy. I dubbi riguardano anche la sicurezza della protezione di questi dati, considerati vulnerabili ed attaccabili da terzi.

Dopo essere stata respinta nei primi due gradi di giudizio, l’istanza è stata infine accolta dalla Corte Suprema. Presto si attende una reazione dell’esecutivo, che di certo non si lascerà scoraggiare nella lotta alla corruzione e all’economia sommersa, anche se la questione, ossia l’eterno conflitto tra sicurezza e libertà, non è certo di facile soluzione.

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