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Giancarlo Siani, Anniversario Morte: il nostro ricordo

Torre Annunziata non è un paese, ma una città nella città. Case popolari fatiscenti, cresciute negli anni del boom economico e della speculazione edilizia. Torre Annunziata non è un paese ma è ancora Napoli. Giancarlo Siani ha 26 anni, è un collaboratore precario del Mattino. Lui proviene dai quartieri alti di Napoli, dal Vomero, una zona ricca, lontana da Torre Annunziata.
La sua vita di precario inizia nel 1981. Per la redazione di Castellammare di Stabia del “Mattino” di Napoli è un corrispondente da Torre Annunziata. Collabora con il bollettino “Osservatorio sulla Camorra”.

A quel tempo si era appena conclusa la guerra che opponeva la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo ai clan della Nuova Famiglia dei Nuvoletta, Bardellino e Alfieri, legati a Cosa nostra. Giancarlo Siani segue una doppia pista per raccontare scontri e alleanze tra i camorristi che hanno battuto sul campo Cutolo.

Il 26 agosto 1984 è domenica, il giorno di S. Alessandro. Presso il Circolo dei pescatori di Torre Annunziata arriva un autobus carico di killer, sul cruscotto un cartello: “gita turistica”. Nella chiesa si sta celebrando per molti bambini la prima comunione. I killer scendono dall’autobus e iniziano a sparare contro tutto e tutti. Otto morti, sette feriti. Il giorno dopo Giancarlo Siani racconta la strage in poche righe pubblicate in cronaca. Da Napoli arrivano i corrispondenti ufficiali. Saranno loro a raccontare la “Strage di S. Alessandro”.

Sul Mattino racconta l’arresto del boss Valentino Gionta, “cantato” dai Nuvoletta per patteggiare una tregua con i clan rivali. È il giorno in cui firma la sua condanna a morte perché svela una realtà infamante per il codice camorrista: il tradimento.

L’estate del ’85 Siani viene trasferito alla sede centrale di Napoli per una sostituzione stagionale. Lui continua ad occuparsi di camorra. Passano tre mesi: è il 23 settembre del 1985 e viene ucciso.

Giancarlo Siani

Chi è Giancarlo Siani?

Un ragazzo come tanti che voleva fare il giornalista. Non aveva la presunzione di sconfiggere la camorra, voleva solo raccontarla documentando gli affari sporchi dei boss e la loro rete di protezione fatta di politici collusi e imprenditori disonesti.
Quando lo uccisero venne dimenticato per anni, e qualcuno cominciò a dire che l’avevano ammazzato per una questione di donne, di uomini, di beghe personali. Cercarono, insomma di sviare le indagini. Non si voleva vedere che era un giornalista che scriveva cose giuste e aveva avuto l’onestà e il coraggio di scrivere anche i nomi di chi stava sfruttando i ragazzini di tredici anni come corrieri di droga.

Il corrispondente da Torre Annunziata stava indagando sulle collusioni tra politici, amministratori locali e famiglie camorristiche per la spartizione degli appalti del post-terremoto del 1980. Il sequestro dell’ assessore ai Lavori Pubblici della Regione Campania Ciro Cirillo da parte delle BR (morirono un’agente di scorta e l’autista). La trattativa che lo Stato avviò, attraverso i funzionari dei servizi segreti per la liberazione di Cirillo che era delegato alla ricostruzione del post-terremoto (uomo di Antonio Gava), con Raffaele Cutolo che all’epoca era detenuto nel carcere di Ascoli Piceno. Ebbene, questo è lo scenario in cui matura la condanna a morte di Giancarlo.

Ci sono voluti oltre 10 anni per catturare i suoi assassini.

E l’ ultima sentenza della Cassazione ha confermato che Giancarlo aveva visto nella giusta direzione, avendo reso definitive le due condanne all’ergastolo dei mandanti Angelo Nuvoletta, e Luigi Baccante, e le condanne per i killer Armando Del Core, Ciro Cappuccio e Ferdinando Cataldo.
Questa sentenza, conferma che il giovane cronista venne ucciso perché stava facendo bene la propria professione di giornalista.

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