Cinema

“Io, Daniel Blake” di Ken Loach: recensione del film

“Io, Daniel Blake sono un uomo, non un cane. E in quanto tale esigo i miei diritti. Esigo che mi trattiate con rispetto. Io, Daniel Blake sono un cittadino. Niente di più e niente di meno.”

La macchina burocratica non è altro che un carro-armato di carta stampata addestrato per uccidere. Ken Loach questo lo sa molto bene. Ed è per questo che sceglie di portare sul grande schermo Io, Daniel Blake. Daniel Blake (Dave Johns), sessantenne vedovo tuttofare ed è una sorta di Walt Kowalski: uomo di sani principi, fervido credente delle regole del vivere civile (riprende spesso il giovane vicino che lascia in giro la sua spazzatura) e soprattutto gran lavoratore.

Reduce da un infarto, il medico decreta che non è più in grado di lavorare a causa dei suoi problemi di salute. Deve quindi ottenere l’indennità sul lavoro, ma la procedura burocratica è assai lunga e complicata, per non dire incoerente, e lo porterà a scrivere un CV e presentarsi a colloqui per lavori che comunque non potrà accettare, pena una sanzione, in attesa che venga approvata la sua richiesta. Per di più, le nuove procedure sono tutte online e Daniel non ha mai aperto un computer e scrive tutto a matita.

Nel corso delle sue regolari visite al centro per l’impiego, Dan si imbatte in Katie (Hayley Squires), una giovane donna delle pulizie con accento londinese, ragazza madre di due figli nati da padri diversi appena arrivata a Newcastle. Katie è una donna afflitta dai problemi quotidiani: vive in una casa che cade a pezzi e per mantenere i figli muore letteralmente di fame.

Ancora una volta, Loach mette mano su una bellissima sceneggiatura del suo fedele Paul Laverty per realizzare un film di forte impatto, in stile neorealista (c’è chi lo ha paragonato, non a torto, a Umberto D. di Vittorio De Sica) e con un attore proveniente dalla stand up comedy. Ma Io, Daniel Blake non è soltanto un feroce pamphlet contro il sistema burocratico britannico, è soprattutto un inno alla solidarietà umana. Sì, perché comunque Dan incontra un sacco di aiutanti e lo stesso rapporto che si instaura tra lui, Katie e i figli di lei è un rapporto di solidarietà umana, di quelli che possono instaurarsi solo tra la gente abituata alle difficoltà e quindi più disposta a dare una mano a chi ne ha bisogno.

Vincitore della Palma d’oro (la seconda per Loach) al Festival di Cannes, è un film che ha diviso: da un lato, chi ha affermato che fosse il film più semplice di Loach; dall’altro, chi ha esclamato “le lacrime!” (e avevano ragione!). Forse è un film semplice più che altro per il messaggio, ma il punto è che lo trasmette con una comunicatività assolutamente fuori dal comune: non c’è una sola inquadratura fuori posto, una sola battuta sbagliata in tutto il film.

Che dire? “Un altro mondo è possibile”.

LEGGI ANCHE: 

Florence Foster Jenkins alla Festa del Cinema di Roma: Recensione del film di Stephen Frears

Tag
Back to top button
Close
Close