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Eliminazione dai Mondiali 2018: perché è tutta colpa di Ventura

Dopo centottanta minuti senza fare nemmeno un gol di rimpallo ad una Nazionale che probabilmente considera la partecipazione al Mondiale già una vittoria da celebrare in piazza, è arrivato per noi – vecchie, livide glorie – il tempo di pensare al futuro.

Senza girarci troppo intorno, sia i vertici dirigenziali della FIGC che, di conseguenza, l’allenatore Gian Piero Ventura, devono assolutamente lasciare il timone del nostro calcio.

Le responsabilità di Tavecchio

Carlo Tavecchio, burocrate di quint’ordine con un passato professionale tutt’altro che cristallino ed un savoir-faire che ricorda giusto l’acume del Monnezza, ha fatto sì che la Nazionale Italiana fosse affidata ad un modesto uomo di sport come Ventura, che nella sua seppur lunghissima carriera sui campi, non ha mai saputo raccogliere uno straccio di risultato che potesse legittimare la sua posizione; noi, che eravamo abituati ai Lippi e ai Trapattoni, ci siamo ritrovati nelle mani di un tecnico il cui curriculum – forse – può essere allettante per una squadra di Serie B in cerca di promozione, non per una selezione iridata da quattro titoli mondiali e sostenuta da un paese intero, che con essa trova un’unità altrimenti latente e che ne soffre le sconfitte alla stregua di un lutto in famiglia.

E Ventura?

Ventura, con i suoi unici due moduli (3-5-2 e lo scellerato 4-2-4, impensabili per la rosa a disposizione) ha messo alla berlina sì la dignità sportiva del nostro Paese, ma anche e soprattutto quella dei nostri giocatori, alcuni grandi interpreti nei rispettivi ruoli, che per seguire l’arcaica e provinciale idea di calcio di un settantenne senza titoli hanno accettato di girovagare senza meta per il campo, con la beffa di prendersi pure gli insulti della solita, superficiale Italia a qualificazione mancata.

I Mondiali di Russia, quindi, li vedremo tutti comodamente in televisione, forse rimpiangendo un po’ Antonio Conte (che, con una rosa analoga, si arrese solo ai rigori contro i campioni del mondo in carica della Germania) e un po’ sperando nell’approdo in panchina di un allenatore – finalmente – con le spalle larghe: Ancelotti, riesci a sentirci?

Ventura
Gian Piero Ventura, 69 anni, arrivato al capolinea della sua esperienza in azzurro.

Tutti quelli che, in queste ore, puntano il dito contro i poveri diavoli che non hanno messo la palla in rete, sappiano che anche Cristiano Ronaldo, con la sua bella bacheca folta, avrebbe fatto la stessa cilecca di un Bernardeschi qualunque agli ordini dell’incompetenza di Ventura; nessuno, poi, venga a parlare di mancanza di motivazioni e svogliatezza, perché per quanto a correre ci vadano undici milionari, la loro abnegazione e ambizione – a meno che non stiamo parlando di casi degni del lettino di Freud, leggasi Mario Balotelli – superano in realtà quella dei tifosi stessi, il cui tifo – a differenza del loro lavoro – non farà mai storia.

Il valore di molti dei nostri ragazzi non si discute, e lo dimostra – oltre che il loro valore di mercato – la fondamentale importanza che ricoprono nei loro club: è normale che Alessandro Florenzi e Lorenzo Insigne, corteggiati da mezza Europa e praticamente unici per classe e caratteristiche tecniche, finiscano per fare la figura dei cosiddetti “scarponi” in un modulo come il 3-5-2; ed è altrettanto comprensibile che Marco Verratti, che al PSG ricopre un’importanza fondamentale nel mandare in gol i vari Neymar, Cavani e Mbappè, sia umiliato da Isco e compagnia spagnola in un 4-2-4 che avrebbe messo in crisi esistenziale anche il Pirlo dei bei tempi; la strana coppia Belotti-Immobile, poi (due solisti costretti al valzer), sarà un altro dei misteriosi anatemi tattici che Ventura porterà via con sé.

L’ex allenatore del Torino potrà pur continuare a parlare di “comunione d’intenti” fino alla fine dei suoi giorni, ma la plateale frustrazione di Insigne alla partita di andata e quella di Daniele De Rossi al ritorno sono sintomo di un affiatamento che non c’è mai stato, e che siamo grati di non aver aspettato speranzosi – ed invano – fin nella terra di Vladimir Putin, dove una sonora scoppola resa da qualche Nazionale appena sufficiente ci avrebbe assurto al titolo di zimbelli della competizione. L’unico titolo a cui, realisticamente, potevamo ambire.

Ripartiamo, quindi, da ciò che abbiamo, e smettiamola con lo schietto disfattismo, quando un minimo d’intellighenzia sarebbe sufficiente a mostrare da quale parte cominciare a sradicare le erbacce: anche i migliori musicisti del mondo, d’altronde, non faranno mai un grande concerto, senza un adeguato direttore d’orchestra.

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