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Grande Torino e la Strage di Superga: 68 anni dopo l’incidente aereo

4 Maggio 1949, sono passati 68 anni da quella sera di maggio. Era una serata strana: pioggia, vento, nebbia e il Torino, il Grande Torino, stava rientrando da una trasferta a Lisbona. Il Toro aveva disputato una partita amichevole, con il Benfica, una partita che andava giocata perché Valentino Mazzola, il capitano, aveva fatto una promessa ad un amico, Francisco Ferreira, il capitano dei lusitani.

La promessa fu mantenuta, ma il Toro non tornò mai a casa da quella trasferta, perché alle 17:05 di quel 4 maggio di 68 anni fa, il Grande Torino sparì per sempre. L’aereo si schiantò sulla collina di Superga, ai piedi della Basilica che la domina, quella collina che veglia sulla città di Torino e che segnò la fine di una favola meravigliosa e l’inizio di una leggenda.

La storia del Grande Torino

Nessuna squadra ha mai rappresentato per il calcio ciò che è stato il Grande Torino. In un’Italia che affrontava il dramma della seconda guerra mondiale e ancora di più nel periodo che seguì, con un Paese reduce da una sconfitta che stava, a fatica, ritrovando sé stessa e la quotidianità della vita. Il Torino nasceva in un’epoca in cui il calcio era diverso, un’epoca in cui i giocatori non erano professionisti pagati milioni e milioni, erano ragazzi come tanti altri che magari lavoravano in fabbrica e poi correvano al campo ad allenarsi per 100 lire al mese.

In questo calcio Ferruccio Novo, circa 10 anni prima di quel 1949, acquistò la squadra granata con il desiderio di realizzare un sogno: costruire una squadra invincibile. Ed è quello che fece. Il primo anno Novo volle a tutti i costi Franco Ossola, nell’estate del ’41 il presidente acquistò Menti II dalla Fiorentina, Ferraris II dall’Inter e tre giocatori dalla Juventus: Bodoira, Borel e Guglielmo Gabetto, detto “Il Barone”. Ma la svolta arrivò nella stagione 1942/43, Novo ingaggiò Loik e Mazzola dal Venezia, quel Valentino Mazzola che per tutti è ancora uno dei migliori giocatori che il calcio italiano abbia mai visto. Poi arrivò Grezar dalla Triestina e l’allenatore Janni, che sostituì Kutik. I granata partirono male subendo due sconfitte consecutive contro l’Ambrosiana e il Livorno, ma nel derby della terza giornata batterono 5-2 la Juve. Il torneo fu un lungo testa a testa tra Torino e Livorno, risolto solo all’ultima giornata, grazie al gol decisivo di Valentino Mazzola che andò a segno contro il Bari: Torino 44 punti, Livorno 43.

Dopo 15 anni il Torino vinse di nuovo lo scudetto, il primo dei cinque consecutivi. Fu l’inizio della favola, il Torino era una squadra meravigliosa capace di giocare un calcio incredibile per l’epoca, una furia che travolgeva i suoi avversari e non era un caso se 10 giocatori su 11 della Nazionale Italiana vestivano la maglia granata. Nel 1946/47 arrivò un altro scudetto e una sfilza di record, quando Mazzola e compagni inanellarono una striscia di sedici risultati utili consecutivi (di cui 14 vittorie). Il Torino era una squadra che giocava bene, divertiva e faceva sognare come quel corno, al cui squillo scattava il così detto “quarto d’ora granata” e per gli avversari non c’era più storia. L’attacco quell’anno risultò stellare: 104 reti segnate, quasi tre gol a partita di media, e Mazzola a fine anno conquistò la palma di capocannoniere.

Ma il miglior Toro fu quello della stagione 1947/48, il miglior Toro di tutti i tempi, ma anche una delle più forti squadre di sempre. Il Torino era diventato il Grande Torino, era diventata la squadra dei record: la classifica dei bomber fu vinta da Boniperti con 27 reti, ma Mazzola ne segnò 25 e Gabetto 23; massimo punteggio in classifica, 65 punti in 40 gare; massimo vantaggio sulle seconde classificate. Un sogno destinato a continuare anche per la stagione successiva e poi chissà… già chissà perché il destino che attendeva il Toro era un altro, e il campionato 48/49 il Torino lo vinse, ma non lo giocò fine alle fine.

La tragedia di Superga segna la fine del Grande Torino

Il destino. Capitan Mazzola aveva deciso che il Toro doveva onorare la promessa fatta all’amico Ferreira e così la squadra dopo la partita del 30 aprile a S. Siro con l’Inter, con la vittoria del campionato già ipotecata, si fermò a Milano per poter partire alla volta di Lisbona. I granata giocarono quella partita presero l’aereo che li avrebbe dovuti riportare tutti a Torino ma da quell’aereo non scese mai nessuno.

Morì l’intera squadra, quel maledetto pomeriggio di primavera, il Grande Torino fu consegnato alla storia. Nell’incidente persero la vita: i giocatori Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Giulio Schubert e gli allenatori Egri Erbstein, Leslie Levesley, il massaggiatore Ottavio Cortina con i dirigenti Arnaldo Agnisetta, Andrea Bonaiuti e Ippolito Civalleri. Morirono inoltre tre dei migliori giornalisti sportivi italiani: Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (Gazzetta del Popolo) e Luigi Cavallero (La Stampa) e i membri dell’equipaggio Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Celeste Biancardi e Antonio Pangrazi.

Il Grande Torino nella Leggenda

Fu tremendo, una tragedia che sconvolse tutto il Paese e tutto il mondo del calcio, due giorni dopo l’intera città di Torino si strinse intorno alla squadra, vero simbolo di un’epoca. Una lunga, ininterrotta processione rese omaggio alle bare allineate a Palazzo Madama e mezzo milione di persone partecipò ai funerali il 6 maggio 1949. Il Grande Torino aveva insegnato all’Italia a tornare alla vita, a tornare a pensare ad una cosa “sciocca” come il calcio dopo il dolore della guerra.

Chi ama il calcio non ha mai dimenticato quei campioni: il trio di Via Nizza, la classe ineguagliabile di Valentino Mazzola, il suono di quel corno e tutta la grandiosa squadra del Grande Torino. E forse come disse qualcuno quella squadra era troppo bella perché invecchiasse, forse il destino ha voluto fermarla al culmine della sua bellezza consacrandola alla leggenda, perché solo il destino poteva fermare il Grande Torino. Come scrisse Indro Montanelli all’indomani della tragedia: “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta.”

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India Bongiorno

Dottoressa in Giurisprudenza, Avvocato praticante e (ormai) ex pallavolista. Sto ancora studiando per realizzare il mio sogno di diventare Magistrato,ma la grande passione della mia vita è sempre stata il calcio,l'unico vero amore il mio Milan. Cresciuta a pane volley e partite di pallone, ho sempre amato scrivere ciò che mi passava per la testa...prima o poi scriverò un libro ma per ora mi dedico a scrivere delle cose che mi piacciono.
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