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Guerra in Siria, spiegata dai numeri UNHCR

Il 10 Marzo ricorreva l’anniversario dell’inizio della guerra in Siria. Un conflitto paradigmatico che mostra quanto, per via di intrecci tra interessi economici e geopolitici applicati su di un fazzoletto di terra, si possa ignorare un’intera popolazione costretta inerme a muoversi in fuga per evitare di cadere sotto i colpi di una delle parti in conflitto per poi ritrovarsi a vivere nell’inquietudine generata dalla ricerca delle risorse per la propria sopravvivenza sommata all’esposizione diretta del terrorismo inteso come strategia di guerra.

Terra Siriana, terra di Conflitti

In passato è stata affermata da più parti l’esistenza in territorio siriano di almeno tre fronti aperti facenti parte di un’unica incomprensibile guerra. E’ molto più plausibile affermare che in quel piccolo territorio dorato e pieno di cervelli, perchè tale è la Siria, si siano concentrati gli sforzi di più guerre diverse. Esiste una guerra per il controllo delle vie del petrolio e del gas. Esiste una guerra per il controllo di pezzi di territorio da parte di un esercito rimasto disoccupato dopo una guerra passata e che decide di farsi Stato come Califfato (ISIS dopo Iraq).

Esiste una guerra per il contenimento delle spinte indipendentistiche da parte di etnie sparse in più stati (Turchia, Iraq e Curdi). Esiste una guerra combattuta perche qualche Paese ricerca il proprio accesso al mediterraneo (Iran). Esiste una guerra di visione politico-religiosa tra mussulmani (Sciiti contro Sunniti). Esiste una guerra di chi rifiuta un determinato potere statale: i ribelli contro Assad. Non meraviglia che le uniche due fazioni siriane in conflitto si siano ridotte, da una parte, quella dei ribelli, in una piccola striscia di terra al confine con la Turchia e, dall’altra, quella di Assad, a necessitare di milizie estere per mandare avanti la propria guerra tanto da essere considerato da qualche attento osservatore alla stregua di un semplice sindaco. In altre parole questa è la guerra di altri combattuta sul territorio e sulla pelle di altri.

La cifre dell’UNHCR

Esiste, però, la lotta quotidiana dei profughi per la propria sopravvivenza. In questo senso l’UNHCR ha ragione nell’affermare che siamo dinanzi al fallimento della diplomazia e della solidarietà internazionale e di fronte ad una delle più grandi tragedie umanitarie dal secondo dopoguerra ad oggi. Queste le loro cifre sulle quali riflettere. In Siria, 13,5 milioni hanno bisogno di aiuti umanitari; 6,3 milioni sono sfollati interni; centinaia di migliaia di persone si sono sottoposte alle pericolosità dei viaggi via mare in cerca di rifugio; quasi 3 milioni di siriani sotto i 5 anni sono cresciuti nell’ignoranza dato il conflitto; e 4,9 milioni – in maggioranza donne e bambini – hanno trovato rifugio nei paesi limitrofi, sottoponendo le comunità ospitanti ad un enorme sforzo in termini di ricaduta sociale, economica e politica.

“La Siria è a un bivio”, ha detto Filippo Grandi, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. “A meno che non siano adottate misure drastiche per puntellare la pace e la sicurezza per la Siria, la situazione è destinata a peggiorare….Il conflitto della Siria non è una questione di numeri, ma di persone”, ha aggiunto Grandi. “Le famiglie sono state lacerate, civili innocenti uccisi, le case distrutte, le imprese e le condizioni di vita in frantumi”. Se le criticità aumentano nel corso del tempo, i fondi, purtroppo, si dimostrano precari rispetto all’enormità delle esigenze. L’ONU necessita di 8 miliardi di dollari solo per quest’anno esclusivamente per soddisfare le esigenze primarie dei rifugiati siriani interni ed in esilio ed è essenziale che questi sforzi sono sostenuti. Il finanziamento non farà cessare le sofferenze ma nonostante l’estrema povertà, la miseria, si intensifichino, le risorse attualmente disponibili semplicemente sono troppo lontane anche solo dal semplice avvicinarsi a soddisfare le sfide che una tragedia umanitaria come questa pone dinanzi tenendo conto che il dialogo ed i colloqui di pace ancora non hanno prodotto risultati tangibili.

L’UNHCR, in tal senso, guarda verso le recenti iniziative di pace come ad un possibile viatico verso una soluzione duratura e sostenibile. Ma è un auspicio più che una certezza. A suo dire, infatti, i colloqui di pace da soli non creano le condizioni perchè i rifugiati possano essere in grado di tornare sui loro territori e, nel caso in cui gli elementi di base per la pace ed una sicurezza durevole siano a posto, il lavoro maggiore sarà nel sostenere il più grande sforzo generazionale di ricostruzione ed è bene che si inizi per tempo.

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