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Liu Xiaobo è Morto, il più grande attivista cinese e Nobel per la Pace

L’attivista Liu Xiaobo era ricoverato in un ospedale della provincia settentrionale di Liaoning dove è morto. Ne era stato trasferito dal carcere, in libertà vigilata, dopo che gli era stato diagnosticato un tumore all’intestino in fase terminale. Nonostante le varie richieste gli è stata negata la possibilità di cure all’estero.

Chi era Liu Xiaobo? La biografia

Conosciuto, soprattutto in occidente data la censura subita in Cina, per essere stato uno dei grandi protagonisti di Piazza Tiananmen dove svolse un ruolo fondamentale nelle proteste studentesche del giugno 1989 (uno dei 4 gentleman) sostenendo una campagna per la liberazione dei manifestanti detenuti. Viene per questo costretto in carcere (propaganda e istigazione controrivoluzionarie) per 19 mesi. Nel 1996 Liu Xiaobo è internato in un campo di rieducazione nella Cina nordorientale per tre anni per critiche al Partito Comunista Cinese.

Nel 2010 viene insignito del premio Nobel “per la sua lunga e non violenta battaglia per i diritti fondamentali in Cina” ed una Pechino irritata sottopone la moglie agli arresti domiciliari. Vietato ritirare il premio ed alla cerimonia di consegna una sedia vuota diviene immagine simbolo della repressione del dissenso nella Repubblica Popolare Cinese.

Censurato in oriente ma spesso dimenticato in occidente nonostante il Nobel. La sua immagine, le sue battaglie oscurate e sacrificate, anche da noi, sull’altare del quieto vivere tra stati e per l’esigenza di non irritare uno dei paesi più contraddittori ma influenti tra le economie mondiali.

A poco è servito l’appello degli ultimi tempi di alcune nazioni occidentali per l’espatrio “palliativo” dell’attivista per i diritti e la democrazia in USA o Germania. I suoi principi, che sono anche i nostri, vengono sottoposti alla legge della real politique anche negli ultimi istanti di vita. Solo nelle ultime settimane prima del suo decesso, infatti, il caso di Liu è stato oggetto di controversie internazionali. Le sollecitazioni rivolte alla Cina per consentire a Liu di lasciare il paese in cerca di assistenza palliativa altrove non sono servite. Non sono bastati, probabilmente, nemmeno gli ultimi 11 anni di condanna che scontava, non per omicidio, non per strage, ma per aver chiesto assieme ad altri 329 intellettuali la fine del monopartitismo, l’avvento del pluralismo (tanto bistrattato in casa nostra) e la libertà di espressione tramite un manifesto, Magna Charta 08 (sotto ispirazione della già conosciuta Charta 77 di Vaclav Havel), tra l’altro firmato da oltre 12000 cinesi.

La sua è stata una vita all’insegna delle battaglie civili e di una resistenza pacifica e non violenta. Sacrifica una carriera da professore universitario avviata tra Europa ed America per sostenere quello che sentiva essere un vento di cambiamento che da Berlino arrivava anche a Piazza Tiananmen. Non sacrifica il suo impegno intellettuale ma rifiuta un’estetica intrisa di demagogia sostenendo la pragmatica della democrazia nel sistema più anomalo tra le più grandi potenze del mondo. Sogna un senso di libertà, diverso dal semplice senso economico, che nel suo paese tarda a manifestarsi e che ha pagato a caro prezzo sulla propria pelle. Data la grandezza dell’uomo verrebbe da chiedersi se un giorno anche in Cina potranno dire riferendosi anche a lui eravamo nani che senza saperlo camminavano sulle spalle di giganti.

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