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Vincenzo Paparelli, storia del tifoso della Lazio ucciso 39 anni fa

Sono passati 39 anni. Era diversa l’Italia di allora, un Paese che aspettava la domenica pomeriggio per rilassarsi, dimenticare i brutti pensieri della settimana appena trascorsa e pensare solo al calcio. Era un calcio che allora si viveva in maniera intensa ma gioiosa, scarico dalle tensioni che oggi accompagnano i vari match.

E’ il 28 ottobre del 1979 e a Roma c’è il solito sano fermento per il derby
capitolino fra Roma e Lazio. Vincenzo Paparelli decide di andare a godersi il match della sua squadra del cuore allo Stadio Olimpico: la Lazio non è più quella di Chinaglia e Maestrelli ma si sa, il derby è una partita a sè e può capitare di tutto: battere i cugini è possibile. Ad accompagnarlo c’è sua moglie Wanda che, per prevenire eventuali attacchi di fame, prepara dei panini da portare sugli spalti. C’è tanta gente fuori dallo stadio, la fila è lunga ma Vincenzo e sua moglie riescono ad entrare comunque prima dell’inizio della gara. Lo spettacolo sugli spalti è impressionante: una vera e propria marea di gente scandisce all’unisono il nome dalla propria squadra. Vola qualche insulto, da una parte e dall’altra, come è normale che sia. Bandiere giallorosse e biancocelesti colorano le curve dello stadio,
con queste premesse sarebbe un peccato se la partita alla fine fosse noiosa. Dalla Curva Sud della Roma si innalzano fumogeni e fuochi d’artificio, mancano pochi minuti all’inizio. Vincenzo decide di addentare qualcosa, la scelta ricade su un panino con frittata preparato da Wanda. Ad un certo punto, un razzo parte dalla Curva giallorossa e sale in cielo: tutto lo stadio resta a bocca aperta in un “Oh” di ammirazione. Ma il razzo scende, percorre tutto il campo e si dirige in Curva Nord, quella presidiata dai sostenitori laziali. Il razzo colpisce proprio Vincenzo, conficcandosi sul suo occhio sinistro. Wanda, con la disperazione di chi sa che ormai è troppo tardi ma prova il tutto per tutto, cerca di togliere quel missile infuocato dall’occhio del marito, ustionandosi la mano. Il medico che presterà i primi soccorsi a Vincenzo dirà che nemmeno in guerra ha visto una roba simile. “Il
Tempo” pubblicherà la foto dell’uomo riverso per terra, con la faccia insanguinata e l’orbita dell’occhio vuota. Vincenzo muore e, forse, con lui morirà un po’ il calcio genuino di quel tempo.

Da quel giorno tante cose sono successe. Si è fatto tanto per evitare che ricapitino incidenti simili e forse, oggi, dopo tanto tempo, qualcosa è cambiato. I tifosi della Lazio ogni tanto inneggiano il suo nome allo stadio mentre qualcuno di quelli romanisti, lo sbeffeggia spesso: “10, 100, 1000 Paparelli”. Forse è proprio da quel giorno che romanisti e laziali hanno iniziato a parlare del derby non più come “sfida” ma come “guerra”. Forse è da allora che non è più “rivalità” ma “odio”. L’unica cosa certa è che 39 anni fa il calcio di una volta, quello innocente che i nostri padri ci raccontano con un filo di luccichio negli occhi, è andato via per sempre.

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