Musica

Rino Gaetano, il ricordo nell’anniversario della sua morte

Il 2 giugno di 36 anni fa, in corrispondenza con la ben più famosa ricorrenza nazionale, moriva in un lettino del Gemelli di Roma Rino Gaetano. Ascoltare oggi le canzoni di Rino non è facile, come non è facile rileggere l’epoca che ci ha immediatamente preceduti. Immergersi nel mondo del cantautore calabrese significa calarsi in medias res in un’Italia violenta, oscura e dai contorni non ancora ben definiti. La dimensione storica è onnipresente. Lo era anche e soprattutto nelle sue canzoni facili e disimpegnate. Sono proprio quelle, anzi, che lo immergono nella corrente di chi ha ricercato la verità sorridendo, senza la pretesa di essere presi sul serio, ma con la speranza di generare consapevolezza nelle anime del pubblico.

Rino Gaetano: le profonde radici e il ricordo di Roma

Calabrese di nascita e romano di adozione. Nonostante fu costretto ad emigrare come tanti giovani del suo tempo lontano da casa sua, non perse mai le sue radici. In “Ad esempio a me piace il sud” ricordò così la sua terra:

“Poi mi piace scoprire lontano
il mare se il cielo è all’imbrunire
seguire la luce di alcune lampare
e raggiunta la spiaggia mi piace dormire
Ma come fare non so
Si devo dirlo ma a chi
se mai qualcuno capirà
sarà senz’altro un altro come me”.

Ciò che lo distingueva dagli altri fu la sua (giusta) intuizione che il centro in cui le sorti italiane venivano decise era proprio la Capitale. Ricordata in maniera dolce-amara ne “Il cielo è sempre più blu”, Roma veniva disegnata a tinte alterne: color pastello per l’umanità che abitava melanconicamente all’ombra di tanta bellezza, e colori netti per i suoi difetti.

“Chi vive in baracca, chi suda il salario
chi ama l’amore e i sogni di gloria (…)
chi è stato multato, chi odia i terroni
chi canta Prévert, chi copia Baglioni
chi fa il contadino, chi ha fatto la spia
chi è morto d’invidia o di gelosia
chi legge la mano, chi vende amuleti
chi scrive poesie, chi tira le reti”.

Rino Gaetano e l’esperienza a Sanremo con “Gianna”

Dopo il grande successo di “Aida” e “Mio fratello è figlio unico” Rino Gaetano si procurò le attenzioni e la curiosità del pubblico italiano, che era impaziente di vederlo sul palcoscenico della consacrazione: il Teatro Ariston di Sanremo. Rino però aveva un’idea ben chiara di cosa Sanremo rappresentasse: era il tempio della mediazione, dello stile “nazionale”, del pop disimpegnato. Tutte categorie che non appartenevano al vulcanico cantautore. Lui, però, ci andò. Per l’occasione compose “Gianna“, una canzonetta che puntava a fare il verso alle altre in concorso (quell’anno vinse la canzone dei Matia Bazar).

Salì sul palco come avrebbe fatto un giullare, con un frac d’occasione, una tuba in testa ed un ukulele e iniziò a cantare. Il resto è storia. Propose a Sanremo la prima canzone che parlasse esplicitamente di sesso, e ciò gli fece guadagnare il terzo posto all’edizione del 1978. A festival concluso dichiarò: “Sanremo non significa niente e non a caso ho partecipato con Gianna che non significa niente”.

Nun te reggae più, il successo negli anni della “crisi italiana”

In pochi anni la minaccia terroristica mise in ginocchio la nazione intera. L’Italia si apprestava a riscoprire lo strumento referendario che sconvolse le agende politiche dei partiti dell’epoca. Crisi di governo si alternarono a scandali internazionali, come lo scandalo Lockheed, l’attività della loggia P2 e le inchieste dell’Espresso sui tentati golpe militari. Inoltre nel 1977 ripresero le manifestazioni studentesche che lasciarono morti e feriti sull’asfalto di Bologna e Roma.

Il 1978, anno della consacrazione di Rino, non fu parimenti facile. A maggio venne ucciso l’onorevole Aldo Moro, figura di spicco e fautore del dialogo tra DC e PCI. In questo clima, poi ribattezzato “di piombo”, Rino Gaetano non poteva essere che ancor di più critico e polemico verso una politica collusa e una società ancora non alla pari delle altre occidentali. Sono gli anni di “Nun te reggae più”, una delle poche canzoni a fare nomi e cognomi delle figure pubbliche dell’epoca, ormai onnipresenti nelle vite degli italiani. Una denuncia forte della pervasività del potere negli anni del terrorismo.

“Ladri di stato e stupratori
il grasso ventre dei commendatori
diete politicizzate
evasori legalizzati (NUNTEREGGAEPIU’)
auto blu
sangue blu
cieli blu
amore blu
rock and blues
NUNTEREGGAEPIU’
Eja alalà (NUNTEREGGAEPIU’)
pci psi (NUNTEREGGAEPIU’)
dc dc (NUNTEREGGAEPIU’)
(…)
Avvocato Agnelli, Umberto Agnelli
Susanna Agnelli, Monti, Pirelli
dribbla Causio che passa a Tardelli
Musiello, Antognoni, Zaccarelli (NUNTEREGGAEPIU’)”.

La canzone, già incisiva di per se, fu accompagnata da un’esibizione (ancora fruibile su Youtube, ndr) in cui comparse si coprivano il volto con foto dei personaggi in questione.
Rino si dovette difendere da accuse su accuse, in un’occasione si difese provocatoriamente così: “Le canzoni non sono testi politici e io non faccio comizi. Questo è uno sfottò. Insomma, per me “Nuntereggae più” è la canzone più leggera che ho mai fatto“. Il clima quasi militaresco dell’epoca mutò l’indole di Rino, poco sotto i trent’anni diventato più serioso e decisamente impegnato. Le dichiarazioni di pochi anni prima furono palesemente smentite dai fatti. Il suo seguito però aumentava con l’aumento della sua vena polemica.

La morte di Rino Gaetano il 2 giugno 1981

La fine della sua carriera fu improvvisa come la fine della sua vita. Morto non sul suo personale campo di battaglia, ma morto da solo, in un incidente stradale la morte del 2 giugno 1981. La sua morte non è priva di istanze irrisolte. La lentezza del personale medico e la cattiva organizzazione degli ospedali romani gli costarono probabilmente la vita. Ma il destino è e rimane inesorabile, e investe anche chi al caso non ha mai creduto.
Per quelli come Rino, il cielo sarà sempre più blu.

C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio! Io non li temo! Non ci riusciranno! Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni! Che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno che cosa voglio dire questa sera! Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale!”

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Matteo Squillante

Napoletano di nascita, attualmente vivo a Roma. Giornalista pubblicista, mi definisco idealista e sognatore studente di Storia e Culture Globali presso l'Università di Roma Tor Vergata. Osservatore silenzioso e spesso pedante della società attuale. Scrivo di ciò che mi interessa: principalmente politica, cinema e temi sociali.
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