Cronaca

Morto Totò Riina: concesso ai figli di poterlo vedere

Ormai non c’è più niente da fare per il boss corleonese Totò Riina, detto “Totò u curtu”. Arrestato il 15 gennaio del 1993 dopo 24 anni di latitanza, è tuttora il capo indiscusso di Cosa nostra.

Riina, recluso per 26 condanne all’ergastolo, è la mente e mandante dietro decine di omicidi e delle celebri stragi, che hanno tristemente segnato la storia d’Italia: gli attentati del ’92 in cui persero, barbaramente, la vita Falcone e Borsellino.

 

Ricoverato da tempo, nel Reparto detenuti dell’ospedale di Parma, Riina era in coma farmacologico dal giorno del suo compleanno, per lo stress procurato al suo corpo debilitato, a causa degli importanti interventi chirurgici subiti.

Data la gravità delle condizioni del boss di Cosa Nostra, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, previo nullaosta della Procura nazionale antimafia e dell’Amministrazione penitenziaria, è riuscito a far ottenere alla moglie e ai figli di Riina, il permesso di stare al capezzale del capofamiglia.

Il boss stragista di Cosa Nostra, Totò Riina si è spento questa notte.

L’ascesa di “Totò u curtu”

Riina nasce a Corleone, un piccolo comune nella provincia di Palermo, il 16 novembre 1930. Considerato da tutti il più sanguinario tra i boss che Cosa Nostra ricordi, tra i vari soprannomi ricevuti, c’è l’inquietante “la belva“, proprio per la sua ferocia. Arrestato diverse volte, per furti ed e atti di violenza, Riina inizia il suo cursus honorum mafioso nel dicembre del 69, diventando uno degli esecutori della “Strage di Viale Lazio“, in cui perde la vita il boss Michele Cavataio. Nel 1974 diventa il reggente della cosca, grazie all’arresto di Luciano Liggio, compagno mafioso detto “la primula rossa di Corleone“.

Nel 1976 stringe i primi rapporti politici con Vito Ciancimino, esponente di Democrazia Cristiana, con il quale instaura una collaborazione, che lo porterà a dare appoggio alla corrente andreottiana dell’epoca. Ovviamente, l’appoggio politico della “belva” contempla l’omicidio degli avversari politici di Ciancimino, come Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana e Pio La Torre, segretario regionale del PCI che aveva più volte indicato pubblicamente Ciancimino, come personaggio legato a Cosa Nostra.

L’ascesa di Riina sembra inarrestabile, finché, Il 30 gennaio 1992, la cassazione conferma gli ergastoli del maxiprocesso, grazie all’attendibilità delle dichiarazioni del pentito di mafia Tommaso Buscetta. Questo scatena l’ira di “Totò u curtu”, che prima incolpa Giuliano Andreotti di non aver fatto nulla per fermare il maxiprocesso, e poi dà il via ad una serie di feroci ritorsioni contro i collaboratori di giustizia. Nel corso dei mesi saranno trucidati per mano di Cosa Nostra: il generale Dalla Chiesa, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

La forza mostrata dalla mafia siciliana è schiacciante e lo Stato, messo con le spalle al muro, decide di provare a trattare con Cosa Nostra, attraverso l’allora vicecomandante dei Ros, Mario Mori. Riina rispose con il famoso “papello“, una serie di richieste, scritte su un foglio di carta: condizioni più morbide dei detenuti, degli indagati, delle loro famiglie, la cancellazione dell’articolo 41 bis e la revisione del maxiprocesso.

L’impero del terrore di Riina terminerà il 15 gennaio del 1993, con l’arresto da parte del capitano Ultimo dei Ros, questo segnerà anche la fine di una latitanza lunga più di 24 anni.

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Giuseppe Naso

Classe 1985, alessandrino di provenienza, ragioniere per il rotto della cuffia e bassista con puntualitá da "open bar", amo la carbonara, la cinematografia anni 80/90 e "Welcome to the Sky Valley" è il cd più bello del mondo!
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