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Sequestro Moro: Perché ricordarlo?

La fine degli anni ’70 è stato un momento particolare: il terrorismo, i morti per strada, i poliziotti ad ogni angolo. Si viveva un clima di tensione e non era raro imbattersi in situazioni delittuose, in fatti di sangue. Spesso si era testimoni diretti di queste vicende. Erano gli “anni di piombo” e c’era una sorta di assuefazione. Si era abituati al coprifuoco, alle manifestazioni, agli scontri violenti. Gli esponenti del terrorismo di destra e di sinistra, con matrici diverse, erano fautori di numerose azioni criminali.
Ma il rapimento di Moro fece molto scalpore e fu la premessa ad altri eventi, come la strage di piazza Nicosia del ’79, l’uccisione nell’80 dell’ufficiale dei Carabinieri, Emanuele Basile, e dell’esponente della DC, Vittorio Bachelet, amico di Moro.

Via-Fani-Aldo-Moro
Avevo 22 anni. Ero uno studente universitario. Quel giovedì ero sull’autobus che mi stava portando all’Università, come in un giorno qualsiasi. Ma non lo era: era un giorno che avrebbe cambiato la storia di questo Paese. Poche ore dopo il fatto, si diffuse la notizia. Non c’era Internet, non c’erano i cellulari, ma cominciò a circolare, ne parlavano le persone sedute davanti a me. Nei giorni successivi si leggevano i giornali, si ascoltavano i telegiornali. Per noi che siamo stati testimoni era cronaca. Oggi è storia”. Queste sono le parole di chi ha vissuto quei momenti.
“Moro e il destino di una generazione”: è stato scelto questo titolo per la presentazione del libro “Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia”, scritto dal direttore de L’Espresso, Marco Damilano. Lo scorso 10 marzo a “Tempo di Libri”, fiera internazionale dell’editoria di Milano, Damilano ha presentato il suo libro insieme al giornalista ed ex direttore di Reubblica, Ezio Mauro che ha narrato, con un racconto in dieci puntate dal titolo “Aldo Moro – Cronache di un sequestro” su Repubblica e con un film, “Il condannato”, questa vicenda cruciale della storia della Prima Repubblica. Insieme, i due giornalisti, hanno voluto riaffermare, con i loro lavori, il valore storico del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, l’importanza che ha avuto e che continua ad avere oggi. Anche dopo 40 anni si continua a parlare di Moro, del suo coraggio nell’affrontare scelte politicamente pericolose ma sempre orientate al benessere dei propri connazionali, della sua visione di politica come servizio. Moro sapeva di essere in pericolo, ben consapevole delle conseguenze che l’accordo con il PCI di Berlinguer avrebbe portato. Ma Moro si mosse ugualmente perché sapeva che solamente un governo di “solidarietà nazionale” avrebbe potuto garantire più sicurezza per i cittadini che, in quegli anni, ogni giorno, erano costretti a convivere con la violenza.
Rapito da un commando delle Brigate Rosse il 16 marzo del 1978 e ucciso il 9 maggio a 61 anni, dopo 55 giorni di prigionia in un appartamento di via Camillo Montalcini, al numero 8, il suo corpo venne abbandonato in via Caetani, a pochi metri dalle allora sedi della DC e del PCI. Questi fatti sconvolsero l’opinione pubblica.

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Durante la prigionia, Moro scrisse lettere, a mano, su fogli a quadretti presi da block-notes e senza avere una superficie su cui poggiarsi. Scrisse alla dirigenza della DC, Cossiga, Andreotti, Zaccagnini, per citare alcuni destinatari. Ma le più toccanti sono quelle indirizzate alla famiglia. Alla moglie Eleonora, che chiamava affettuosamente “Noretta”, scriveva: “Ma quando si rompe così il ritmo delle cose, esse, nella loro semplicità, risplendono come oro nel mondo. Per quanto mi riguarda, non ho previsioni né progetti, ma fido in Dio che, in vicende sempre tanto difficili, non mi ha mai abbandonato. Intuisco che altri siano nel dolore. Intuisco, ma non voglio spingermi oltre sulla via della disperazione. Riconoscenza e affetto sono per tutti coloro che mi hanno amato e mi amano, al di là di ogni mio merito, che al più consiste nella mia capacità di riamare. Cose tenerissime a tutti i figli, a Fida col marito, ad Anna col marito ed il piccolino in seno, ad Agnese, a Giovanni, ad Emma. Ad Agnese vorrei chiedere di farti compagnia la sera, stando al mio posto nel letto e controllando sempre che il gas sia spento. A Giovanni, che carezzo tanto, vorrei chiedessi dolcemente che provi a fare un esame per amor mio […]. Ricordatemi nella vostra preghiera così come io faccio. Vi abbraccio tutti con tanto, tanto affetto ed i migliori auguri. Vostro, Aldo”.
Moro è sicuramente stato un uomo molto discusso: l’uomo della DC, l’uomo dei compromessi. Come tutti coloro che hanno un ruolo importante nella vita politica di un paese, era il presidente del partito più grande d’Italia, era acclamato da alcuni e osteggiato da altri.
Ma bisogna riconoscere il suo ruolo deciso nel determinare un cambiamento importante nel nostro Paese e la sua lungimiranza politica, rintracciabile anche in una delle lettere scritte a Zaccagnini, in cui Moro descrisse ciò a cui la sua morte avrebbe portato e quanto si sarebbe poi verificato: “Se questo crimine fosse perpetrato, si aprirebbe una spirale terribile che voi non potreste fronteggiare. Ne sareste travolti”.

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