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Fiscal Compact 2018: il Consiglio europeo dà il via alle trattative

In questi giorni a Bruxelles è in palio una delle poste più importanti degli ultimi anni. Nel totale silenzio dei media mainstream, il Consiglio Europeo sta discutendo sul progetto di riforma della legislazione economica che sancirebbe l’entrata del cosiddetto Fiscal Compact all’interno del diritto comunitario fondamentale.

L’avallo dell’Italia ci sarà; la conferma arriva direttamente dal premier Gentiloni, in seguito alla presentazione del progetto di riforma in parlamento avvenuta martedì. Per il Presidente del Consiglio la proposta della Commissione Europea rappresenta “una buona fase di partenza”, al contrario di quanto finora perorato da tutte le forze politiche, Renzi compreso.

Quest’ultimo Infatti, sebbene il suo governo abbia sempre eseguito alla lettera gli ordini di Bruxelles, aveva fatto del veto alla linea tedesca uno dei capisaldi della sua campagna; anche il M5S pareva cavalcare la stessa onda, salvo certe affermazioni emesse da Di Maio negli ultimi mesi che hanno odore di “compromesso contrattualista”. Al momento soltanto la Lega Nord si è posta agli antipodi opposti della questione pro/contro Ue. Forza Italia risulta invece spaccata in due, tra berlusconiani sulla scia dei pentastellati e la Meloni euroscettica.

Fiscal Compact: breve storia e descrizione

Il 1 novembre 1993 entrò in vigore il Trattato di Maastricht, firmato l’anno precedente dagli stati della Comunità Economica Europea. Suddetta data segna la nascita della Comunità Europea – l’embrione su cui si è completata l’attuale Ue (da non confondere con la precedente CEE) – la quale istituì per la prima volta i noti parametri economici relativi al disavanzo annuale di bilancio (rapporto deficit/pil inferiore al 3%), in modo da creare le basi per la moneta unica (in circolazione dal 2002). Queste direttive vennero ulteriormente disciplinate dal Patto di stabilità e crescita deliberato ad Amsterdam nel 1997. Tuttavia nei fatti non era stato ufficializzato niente di strettamente vincolante; fu così che, quanto era stato sinotticamente patteggiato venne disatteso – Germania compresa.

Si arrivò pertanto ad una severa risoluzione: nel 2011 furono dapprima varate delle riforme legislative che avrebbero portato a criteri più severi, maggiore sorveglianza e sanzioni automatiche; poi venne adottato il cosiddetto Fiscal Compact: un accordo di origine pattizia con il quale ogni stato membro si sarebbe impegnato a introdurre tali vincoli nell’ordinamento interno (l’Italia li ha inseriti in costituzione nel 2012).

Le conseguenze

L’attuale politica fiscale europea, fortemente voluta dalla Germania, impone un bilancio pubblico in pareggio o avanzo al netto dei fattori ciclici annuali e inferiore allo 0,5% oppure 1% come mostrato in tabella. Si tratta in sintesi di una delle maggiori armi in mano ai tecnocrati di Bruxelles per istituire delle politiche di austerità, le quali niente hanno fatto se non tagliare la spesa pubblica, diritti e pensioni, impoverendo drasticamente sia il ceto dei lavoratori che quello medio e piccolo-imprenditoriale.

Da ricordare che paesi economicamente sovrani, nonostante abbiano debiti decisamente maggiori, sono comunque in fase di sviluppo crescente e immuni dalle crisi che imperversano in Europa; ne sono l’emblema sia l’attuale Giappone, il quale detiene un debito che è il doppio del pil ma la cui economia è la quarta al mondo, sia l’Italia prima dell’adozione dell’Euro, la quale risultava come quinta potenza mondiale.

Il trucco della direttiva

Adesso il lupo blu a stelle gialle finge di comportarsi da mansueto agnellino, servendoci la riforma sul piatto della direttiva; un piatto che, alla carta, brucia meno rispetto al primordiale progetto di riforma dei trattati.

Ma la differenza è più di forma che di sostanza: per chi non mastica diritto internazionale, con direttiva si intende una disposizione vincolante che gli stati contraenti devono recepire con legge ordinaria interna; in pratica, quando l’Ue impartisce una direttiva, gli stati hanno l’obbligo di deliberare una o più leggi, nel modo che più conviene alle camere, le quali ottemperino a dovere i contenuti della direttiva; al contrario del regolamento che sta al vertice delle fonti del diritto europeo, la direttiva fa invece parte del cosiddetto diritto derivato.

In questo caso d’altra parte la differenza potrebbe addirittura non esserci: è il caso della self-executing, ovvero una direttiva talmente dettagliata da non necessitare di alcun processo di recepimento, assumendo quindi la stessa efficacia dei regolamenti (leggi da applicare alla lettera).

Il progetto di riforma prevede altre importanti novità, tra cui il convertimento del fondo salva-stati Esm in un Fondo Monetario Europeo e la nascita di un Ministro dell’Economia e delle Finanze europeo. Ci sarà da vedere se tutti gli stati approveranno all’unanimità (necessaria) la riforma.

Perché questa riforma è un suicidio

Purtroppo la situazione in Italia al momento è spaventosa, causa precedenti manovre eseguite per l’appunto “perché ce lo chiede l’Europa” – vedi Fiscal Compact, Jobs Act, Buona Scuola… – che niente hanno favorito se non il dilagare della povertà – in questi giorni si parla di circa 18 milioni di italiani a rischio – strozzinaggio fiscale, precarietà e disoccupazione: da più di un anno i dati evidenziano che la disoccupazione giovanile si aggira intorno al 40-50% (senza contare chi non è in cerca di lavoro); i lavoratori sono di fatto senza diritti, sfruttati con contratti a scadenze mensili e salari al limite della sopravvivenza; il sistema pensionistico è stato a dir poco stuprato, complice riforma Fornero.

L’entrata formale dei vincoli nel nostro ordinamento sarebbe l’ennesima frustata sulla schiena di una nazione che sta vivendo il periodo più buio dal dopoguerra. Ci sarà da vedere come andrà a finire anche questa delicata questione. Il panorama è macabro ma fingersi ciechi è vigliaccheria.

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