Aldo Moro, 40 anni fa veniva ritrovato il corpo
Il 9 Maggio di 40 anni fa moriva Aldo Moro; moriva una delle più grandi personalità su cui la democrazia potesse contare. La sua morte fu la pagina più orribile e drammatica di un Italia che rispondeva con la chiusura alle esigenze di una società più aperta ed inclusiva. Chi ha premuto il grilletto non fu solo qualche brigatista rosso nella follia della dimensione terroristica del proprio agire politico estremizzato verso la violenza, fu, in maniera indiretta e climatica, l’esigenza di cristallizzazione di poteri per cui non era accettabile un nuovo equilibrio democratico più adatto a rispondere alle nuove esigenze di una nazione in movimento.
Era nell’ottica di Moro, infatti, tramite la politica per i tempi nuovi (che ricorda quella volontà Kennediana di un mondo più nuovo), ricollegare potere politico e società civile in funzione dei profondi cambiamenti, talvolta radicali, che attraversavano la società italiana nella maniera più trasversale e dinamica (e spesso profondamente violenta). Per Moro c’era una realtà che imponeva una riflessione, sapendo che un nuovo mondo si annuncia e che stava a quella classe politica fare in modo da non travolgere valori reali ed il sistema di libertà e di pacifica evoluzione che a suo vedere aveva caratterizzato sino ad allora la democrazia italiana.
La società italiana degli anni 70 era dinamica, e per questo altamente conflittuale. Risentiva delle pressioni del bipolarismo mondiale, sia in positivo che in negativo, come dell’inizio di una fase economica recessiva che obbligava ad una certa austerità. Erano anche gli anni della prima unità sindacale. Quel periodo portò all’affermazione di conquiste in termini di diritti civili (divorzio e aborto in primis) ed all’affermazione di istanze sociali (statuto dei lavoratori, scala mobile, riforma della sanità, ecc). In parlamento, tra il 1972 ed il 1976, il PCI di Berlinguer compiva un balzo in avanti (dal 27,1% al 34,4%) intercettando tramite una via democratica le istanze di cambiamento della società, il PSI (fermo al 9,6%), d’altro canto, non riusciva a trovare una dimensione di utilità di governo bruciando le prospettive dell’allora centro – sinistra e la destra missina (MSI) aveva stabilizzato la propria fetta di consensi anche intercettando il voto estremista. La DC, invece, non riusciva a dialogare con le forze sociali del paese come necessario per l’allora forza centrale di governo qual era nonostante la stabilità e le dimensioni del proprio consenso (intorno ad un costante 38,7%), non potendo garantire, tra l’altro, coalizioni di governo stabili che fossero specchio di grande consenso popolare se non considerando un “dialogo con la forza” politica che dal 48 ad allora era stata considerata antitetica: il PCI. Qualsiasi attività politica ai tempi era osservata da una società civile fortemente attenta, politicizzata ed ideologizzata di un Paese in movimento, come definito dal dirigente democristiano, ma sottoposta anche ad un alto regime di stress, terreno fertile per ogni pulsione eversiva, che sfociava nella strategia della tensione dei terrorismi di estrema destra ed estrema sinistra, nella la violenza armata delle manifestazioni di piazza e dei gruppi extraparlamentari e nel rischio continuo di colpi di stato neofascisti.
L’agire politico di Aldo Moro, profondamente antifascista, si muoveva nelle difficoltà di questa dimensione sociale non solo con il coraggio dell’uomo ma con la forza delle proprie idee al servizio di libertà e giustizia con la convinzione che non bisognasse solo evitare che le pulsioni di una destra neofascista ed anticostituzionale si trasformassero di nuovo nel tempo in politiche di governo ma che fosse necessario scongiurare pericolosi irrigidimenti e contrapposizioni frontali saldando, invece, ceti medi e lavoratori ed approfondendo in tutte le forme ed a tutti i livelli la vita democratica della realtà del Paese in funzione della permanente salvaguardia delle sue istituzioni democratiche. In questa dimensione di ragionamento dell’allora presidente DC andava superata persino l’esperienza del centro – sinistra (tramite la collaborazione prioritaria con i socialisti) sdoganando invece, con un apertura di credito, la più grande forza politica di sinistra alla ricerca di una legittimazione di sistema. Un’ottica che incrinava quegli equilibri di potere, non esclusivamente politico, instauratisi sino ad allora e che, d’altra parte, rischiavano di non garantire più un indirizzo democratico delle trasformazioni in atto nella società italiana.
Se è vero che in gran parte del mondo democrazia e comunismo si trovavano in dialettica conflittuale e violenta producendo, spesso, il risvolto negativo della negazione di libertà, in Italia il più grande partito comunista d’occidente, per quanto fosse pur sempre un’alternativa, rappresentava per scelta un’alternativa democratica di quella che in gergo veniva definita lotta di classe, identificandosi diversamente come opzione originale sia dai “capitalismi” sia dai “comunismi ortodossi” e spaventando, forse eccessivamente, entrambi i livelli di potere corrispondenti nella società italiana ed a livello internazionale. Nonostante ciò, questa diversità permise quella solidarietà nazionale assicurata ai governi DC in una sorta di collaborazione a distanza che garantì all’Italia l’uscita dall’emergenza democratica degli anni di piombo. Fu proprio il lavoro di Moro a permettere quel dialogo necessario alle due forze politiche nonostante le evidenti difficolta interne ed internazionali. Ma quel 9 Maggio del 1978, mentre contemporaneamente in Sicilia veniva spenta una voce di denuncia sociale del potere mafioso, quella del giovane Peppino Impastato, fu spenta anche quella del dialogo civile e democratico di Moro; evidenziando, tra l’altro, quanto per qualsiasi forma di potere antidemocratico sia importante la logica del silenzio e quanto ben poco tale logica abbia a che fare con una democrazia definibile come matura e responsabile.
Quella salma ritrovata in via Caetani, dopo 55 giorni di sequestro, a qualche passo da palazzo delle Botteghe Oscure (sede del PCI), indicava non solo il rifiuto per quel compromesso storico che avrebbe dovuto affermare una politica per i tempi nuovi in Italia, come definita dal politico democristiano, ma uno schiaffo violento ad una via di pacificazione democratica che era necessaria anche a tanti concittadini la cui semplice colpa del votare comunista li poneva sovente ai margini della vita produttiva e sociale italiana (con annesso rischio di ulteriore estremizzazione delle tensioni sociali) e soprattutto un colpo in profondità al senso stesso di democrazia, alla sua sfida per il pluralismo, alla sua inclusività. Quasi a voler dire: vi ridiamo il corpo morto della vostra democrazia e della vostra pace sociale.